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Energia

Chi ha il vizio della negazione facile

Il post di Filippo Onoranti sulla presentazione de “I no che fanno la decrescita” di Alberto Brambilla e Stefano Cianciotta Mercoledì 6 giugno, nella cornice del porto-canale di Marina di Ravenna, è stato offerto un punto di vista interessante sul vizio della negazione facile da Alberto Brambilla – giornalista del Foglio – e Stefano Cianciotta…

Mercoledì 6 giugno, nella cornice del porto-canale di Marina di Ravenna, è stato offerto un punto di vista interessante sul vizio della negazione facile da Alberto Brambilla – giornalista del Foglio – e Stefano Cianciotta – professore di comunicazione e media management presso l’Università di Teramo. Il primo prende in carico la pars destruens del testo, mentre al secondo spetta l’onere di cercare una via d’uscita dalla condizione che hanno scelto di fronteggiare. Non a caso per presentare “I ‘no’ che fanno la decrescita” hanno scelto proprio la culla dell’oil&gas italiano.

“No” è molto più di una parola, è un’azione con conseguenze insuperabili, è la fine che precede ed impedisce qualsiasi inizio, una rinuncia di cui nel libro vengono analizzati con puntualità i benefici ed i costi per il sistema Paese. I primi sono di natura marcatamente sociale: a rinunciare infatti si evitano molti sbagli, non ci si sottopone alla prova della realtà, si eludono lo sforzo dell’impegno e la responsabilità della creazione; una francescana secolare di grande umiltà e profonda saggezza: Paolina Fratti, ammoniva a ricordare “chi fa, falla” ma proseguiva con decisione sostenendo che l’alternativa è ben peggiore. Non solo: l’opposizione – motivata o meno che sia – è facile da catalizzare, ma genera anche in maniera rapida ed apparentemente poco dispendiosa, un rumoroso consenso ben disposto a venire riorientato al bisogno verso altre battaglie neghittose. Frustrazioni e timori trovano nel “no” un formidabile canale di espressione.

Abituati a sentirci ricordare quasi fosse un proverbio che “i no fanno crescere” – e questo può forse valere pedagogicamente – gli autori richiamano l’attenzione sui costi di questo malcostume che spesso cela un atteggiamento definito Nimby (acronimo per “not in my back yard”, in sintesi: le cose utili fatele lontano da casa mia) e che determina un attrito, talvolta fatale, per progetti di innovazione ed industriali.

L’accento sugli aspetti negativi, mai del tutto eludibili, diviene una scusa per opposizioni sterili ed alle quali tuttavia il paese non sta sopravvivendo, intossicato da un pessimismo più utile a giustificare pigrizie intellettuali (e non) che a cavalcare l’onda del tempo. Che tutto scorre infatti non è solo un motto filosofico o una frase da cioccolatini, bensì un’evidenza con la quale fare i conti, un’abitudine da praticare, insegnare e coltivare.

Lo status quo non esiste. È un’illusione. Tutto diviene e “no” è il tentativo – tanto istintivo quanto sovente ingenuo – di negare questo dato. È il modo semplice per dar voce alla resistenza al cambiamento.

Chi pagherà questo conto? La retorica sulle nuove generazioni ce la risparmiamo tutti volentieri, anche se in questo caso è tragicamente vera. Un paese ostile alla tecnologia ed alla digitalizzazione solo perché “si è sempre fatto bene anche senza”, ha le stesse possibilità di sopravvivere di un cardiopatico che si cura a camomille. Farebbe ridere se non fosse un altro dei perniciosi “no” raccolti nel libro, che definisce “nuovi untori” tutti i detrattori della scienza moderna – che non sarà certo perfetta ma ci fa comunque vivere più a lungo e statisticamente più in salute rispetto a solo mezzo secolo fa.

Per i provocati allarmi sono previste sanzioni, potrebbe essere un motore di civiltà includere in questa categoria anche gli sciacalli della fake news, i venditori di falsi saperi già condannati da Platone come il più truce male della città? Chissà se vivendo “come se” gli obiettivi fossero possibili da raggiungere non lo diventino davvero…

A concludere l’evento è stato Gianni Bessi, che in veste di moderatore ricorda: “Di fronte al no a tutto, a un “no” sterile, dobbiamo cimentarci in una presa di coscienza del consenso per il “sì” responsabile. Una prova di consapevolezza trasversale a tutti i soggetti politici, sociali, economici, ecc., perché il consenso diventa l’elemento intangibile fondamentale delle scelte strategiche per il nuovo slancio allo sviluppo di un territorio, e in generale di un sistema Paese”.

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