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Perché è in salita la strada del prossimo governo

I Graffi di Francesco Damato sui prossimi passi istituzionali in vista del futuro governo dopo l’elezione dei presidenti di Camera e Senato “Primo giro di valzer” ha titolato la sua vignetta sul Corriere della Sera Emilio Giannelli facendo festeggiare alla berlusconiana Elisabetta Casellati e al grillino Roberto Fico la loro elezione a presidenti, rispettivamente, del…

“Primo giro di valzer” ha titolato la sua vignetta sul Corriere della Sera Emilio Giannelli facendo festeggiare alla berlusconiana Elisabetta Casellati e al grillino Roberto Fico la loro elezione a presidenti, rispettivamente, del Senato e della Camera.

Ma potrebbe essere anche l’unico giro di valzer se Silvio Berlusconi – uscito alquanto malconcio dalla partita, pur avendo ottenuto la seconda carica dello Stato per una sua “fedelissima”, come ha fatto sapere intristendo il mancato presidente Paolo Romani- riuscirà almeno a fare rispettare dall’alleato e aspirante premier Matteo Salvini la sua ultima richiesta. Che è quella di considerare “non propedeutica ad un patto di governo” la maggioranza realizzatasi fra centrodestra e grillini per i vertici parlamentari.

Oltre alla richiesta ufficializzata da Berlusconi dopo essersi riconciliato con Salvini sacrificando Romani, e anche la povera Anna Maria Bernini, forzista pure lei proposta però dal segretario leghista, gravano contro l’ipotesi di una maggioranza di governo analoga a quella realizzatasi attorno ai nuovi presidenti delle Camere i dubbi del capo dello Stato. Che si intravedono nell’articolo del quirinalista del Corriere della Sera Marzio Breda, al solito informatissimo delle opinioni, degli umori e persino dei sospiri al Quirinale.

Il presidente della Repubblica ha fatto praticamente sapere di non avere alcuna intenzione di avallare soluzioni pasticciate per il governo, programmi non sufficientemente chiari e comunque compatibili con le risorse disponibili e con gli impegni europei, nonché “un profilo” non adeguato alla funzione e al ruolo del nuovo presidente del Consiglio da mandare a Palazzo Chigi. Dove Mattarella ha appena invitato scontatamente il dimissionario Paolo Gentiloni a restare per gli affari correnti, che potrebbero includere anche la gestione delle elezioni anticipate se non dovesse rivelarsi possibile la formazione di un governo dalle prospettive solide, non limitate all’approvazione di una nuova legge elettorale con la quale rimandare gli italiani alle urne, al più tardi in coincidenza con le elezioni europee nella primavera dell’anno prossimo.

Quella del nuovo governo resta quindi una strada molto in salita, a percorrere la quale Mattarella non sembra proprio avere fretta. Tanto è vero che le consultazioni di rito al Quirinale cominceranno dopo Pasqua.

E’ ancora più in salita, tuttavia, la strada che attende nella gestione del centrodestra e del suo stesso partito un Berlusconi “ferito e acciaccato”, come lo ha definito l’insospettabile Alessandro Sallusti, direttore del Giornale di famiglia, o “reso ridicolo, come ormai gli succede spesso”, ha scritto Vittorio Feltri su Libero.

Chi ha potuto ascoltarne alla televisione le parole pronunciate nel cortile della sua residenza romana, a Palazzo Grazioli, dopo avere personalmente accompagnato all’auto Matteo Salvini, con cui aveva festeggiato l’elezione dei nuovi presidenti delle Camere, avrà sicuramente colto la voce alla fine incrinata di Berlusconi. Che non so, francamente, se fosse più commosso o imbarazzato: commosso per avere potuto comunque mettere una bandierina su quel Palazzo Madama da cui era stato espulso cinque anni fa, e imbarazzato per il prezzo politico che ha dovuto pagare alla ricomposizione del centrodestra, dopo avere dato pubblicamente del traditore a un Salvini del quale ora dice, o deve dire di “fidarsi”.

Il declino politico di Berlusconi è nelle cose: tanto più evidente quanto più lui cerca di contrastarlo, o nasconderlo. Cresce nel suo partito l’imbarazzo di quanti sono da lui lasciati e addirittura spinti, di volta in volta, in prima linea e si trovano alla fine spiazzati dai suoi ripensamenti. Non a caso il capogruppo uscente della Camera Renato Brunetta ha buttato la spugna per una conferma. E l’omologo di Palazzo Madama, Paolo Romani, ferito nell’orgoglio personale e politico nella corsa alla presidenza del Senato, ha lamentato che Berlusconi, “non più leader” del centrodestra, non abbia ottenuto “neppure il minimo sindacale” nella trattativa con l’emergente Salvini.

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