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Ecco mosse e contromosse di Mattarella, Conte, Di Maio, Salvini e Savona

I Graffi di Damato sullo stato dei rapporti fra Sergio Mattarella, Giuseppe Conte, Luigi Di Maio, Matteo Salvini e Paolo Savona Già di nome, anzi di cognome, gli assomiglia. Paolo Savona, 82 anni da compiere il 6 ottobre, economista, ministro dell’Industria nel governo di Carlo Azeglio Ciampi, col quale aveva già collaborato alla Banca d’Italia…

Già di nome, anzi di cognome, gli assomiglia. Paolo Savona, 82 anni da compiere il 6 ottobre, economista, ministro dell’Industria nel governo di Carlo Azeglio Ciampi, col quale aveva già collaborato alla Banca d’Italia ai tempi di Guido Carli, è pericolosamente sulle orme del più famoso Girolamo Savonarola: il frate domenicano, come più di un secolo dopo a Roma Giordano Bruno, che fu prima scomunicato e poi impiccato e bruciato a Firenze per eresia il 23 maggio 1498.

L’eresia contestata a Paolo Savona è di natura politica. Egli non sarebbe europeista. O non lo sarebbe abbastanza, almeno “rispetto all’ortodossia dell’Unione Europea”, ha precisato -bontà sua- il quirinalista del Corriere della Sera Marzio Breda riferendo dei dubbi e della sorpresa del presidente della Repubblica dopo un improvviso “incontro informale e interlocutorio”, cioè “più male che bene”, avuto col presidente del Consiglio incaricato Giuseppe Conte. Che era reduce, a sua volta, da un incontro avuto a Montecitorio con Luigi Di Maio e Matteo Salvini, i leader dei due partiti della costituenda maggioranza grillino-leghista, o legastellata, come preferiscono chiamarla quelli del Carroccio nonostante abbiano raccolto nelle urne meno voti.

I dioscuri gialloverdi avevano concordemente confermato al professore e avvocato Conte la designazione di Savona a ministro dell’Economia, avvertendolo dei rischi, in caso di mancata nomina, di una riapertura della crisi di governo e, inevitabilmente, della ripresa della corsa verso le elezioni anticipate. Che a questo punto sarebbero destinate a svolgersi all’insegna di una maggiore insofferenza verso “l’ortodossia dell’Unione Europea”, per tornare alla prosa di Marzio Breda. E con risultati forse ancora più favorevoli del 4 marzo scorso al Movimento delle 5 stelle e al centrodestra, dove Salvini rientrerebbe, convinto com’è, del resto, di non esserne mai uscito, avendogli a suo tempo Silvio Berlusconi permesso di trattare con i grillini, pur disprezzati dal Cavaliere con parole e sentimenti del tutto ricambiati.

Dicevo dei dubbi e della sorpresa procurati al presidente della Repubblica dall’incontro con Conte. I dubbi sono quelli coltivati da Sergio Mattarella a carico del professor Savona anche alla luce delle turbolenze dei mercati finanziari, come se l’ulteriore aumento dello spread, cioè del differenziale fra i titoli di Stato tedeschi e italiani, spiccato oltre i 200 punti, con tutti i rischi conseguenti, fossero colpa dell’economista sardo e non, più in generale, del “contratto” di governo stipulato fra grillini e leghisti.

La sorpresa di Mattarella è quella di avere avvertito nelle parole di Conte una minore diffidenza, se non proprio un’apertura a Savona, di cui invece il presidente incaricato nel precedente incontro aveva mostrato di avere paura quanto il capo dello Stato, parlandone come di una possibile “mina vagante” nei rapporti con Bruxelles, ma soprattutto con Berlino. Dove Savona ritiene che non si sia persa la vecchia abitudine o tentazione di comandare, più che di collaborare. E’ una preoccupazione, quella dell’economista, d’altronde ricambiata dai tedeschi con la diffidenza verso la pretesa abitudine degli italiani di indebitarsi e di prendersela comoda, come stanno scrivendo in questi giorni i giornali d’oltralpe.

Il quirinalista del Corriere della Sera ha riferito di una “angosciosa solitudine” nella quale si sentirebbe il presidente della Repubblica. Che da solo, in effetti, è stato in pratica lasciato da Conte a decidere se continuare a negare la nomina di Paolo Savona a ministro dell’Economia, anche a costo di fare riprecipitare la crisi -ripeto- verso le elezioni anticipate, o fare buon viso a cattivo gioco, almeno per lui, e per come ha voluto mettere le cose, scommettendo sulla sponda del presidente incaricato. E dimenticando, come gli ha ricordato il vecchio e saggio Emanuele Macaluso, che il rapporto con l’Unione Europea non lo decide il pur importante e presunto eretico o scettico ministro dell’Economia, ma “il governo e chi lo guida”.

Ma Mattarella si fida, o si fida ancora, di Conte dopo avergli dato l’incarico? Questo forse è adesso il punto, al di là delle dispute e dei comunicati sulle prerogative costituzionali dei presidenti della Repubblica e del Consiglio e dei “diktat” che possono più o meno sembrare, all’uno o all’altro, o a entrambi, le proposte e le richieste dei partiti vincolatisi con un “contratto di governo del cambiamento”. Ripeto: cambiamento.

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