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Vi spiego perché continuano i balletti fra Luigi Di Maio e Matteo Salvini

I Graffi di Damato sulla crisi politica e lo stallo delle trattative per il nuovo governo fra Luigi Di Maio e Matteo Salvini Il presidente della Repubblica è riuscito finalmente a riportare la crisi di governo nella carreggiata del Quirinale, ma ha dovuto accettare di allungarne ulteriormente i tempi facendo buon viso al cattivo gioco dei…

Il presidente della Repubblica è riuscito finalmente a riportare la crisi di governo nella carreggiata del Quirinale, ma ha dovuto accettare di allungarne ulteriormente i tempi facendo buon viso al cattivo gioco dei dioscuri Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Cattivo gioco, perché il segretario leghista e il quasi omologo del movimento delle 5 stelle non sanno dire neppure loro a che punto sono arrivati nel negoziato sia per il contenuto del “contratto alla tedesca”, come lo chiama Di Maio, sia per la personalità -si spera- da proporre al capo dello Stato come presidente del Consiglio.

Nel conto della crisi vanno messe anche le procedure delle consultazioni delle basi dei due movimenti: digitali, naturalmente, per i pentastellati e gazebiche per i leghisti.

Dei contenuti del programma ancora in bilico, dopo tante riunioni fra le delegazioni, alcuni sono alquanto delicati, come i temi del fisco, dell’immigrazione, della giustizia e delle infrastrutture. Su questi ultimi due i leghisti debbono fare i conti col giustizialismo consolidato dei grillini e con la loro avversione alle grandi opere, cui preferiscono una visione pauperistica e falsamente ecologica del Paese, vedendo ovunque pericoli di corruzione e devastazione. Se fosse dipeso da loro, le autostrade in Italia non sarebbero mai state costruite.

Le resistenze dei leghisti alle logiche dei grillini sono coincise con l’aumentato peso politico di Silvio Berlusconi nello scenario del centrodestra, e più in generale in quello nazionale e internazionale, dopo la riabilitazione del Cavaliere  decisa dal tribunale di sorveglianza di Milano e il suo pieno ritorno alla candidabilità. Che potrebbe presto riportarlo in Parlamento, già in questa diciottesima legislatura, alle prime elezioni suppletive provocate dalle dimissioni di un esponente del suo partito eletto il 4 marzo scorso in un collegio uninominale. Di aspiranti a questo servizio al Cavaliere ve ne sono in quantità.

Durante la sua solita “maratona” televisiva sulle consultazioni riaperte al Quirinale Enrico Mentana ha voluto ammonire i giornali, come se fosse un maestro, a non dare una simile lettura del cambio di passo leghista sulla strada della crisi. Il peso e il ruolo di Berlusconi, che pure si era già affrettato ad avvisare personalmente l’alleato leghista, in un incontro ad Arcore, a “riflettere di più ” sulle scelte di governo da lui dichiaratamente non condivise, tanto che è escluso un appoggio parlamentare di Forza Italia, non c’entrerebbero nulla, secondo il direttore del telegiornale de La 7.

A smentire la visione o lettura mentaniana degli sviluppi della crisi sono le dichiarazioni rese al Quirinale, davanti alle telecamere della Loggia delle Vetrate, dopo l’incontro col presidente della Repubblica, dallo stesso Salvini. Il quale ha voluto ribadire i suoi vincoli di alleanza elettorale e politica con Berlusconi e con la destra di Giorgia Meloni, ringraziando entrambi dello spazio lasciatogli sinora nei suoi movimenti, diciamo così, autonomi sul fronte del governo. Ed ha voluto contemporaneamente avvertire i grillini che ai leghisti potrebbe convenire di più rinunciare ad un accordo, essendo l’unica forza elettorale in crescita nei sondaggi.

Così torna ad aleggiare sulla legislatura l’ombra delle elezioni anticipate, se mai se n’è davvero allontanata dopo l’annuncio di un governo “neutrale” per gestirle fatto dallo stesso presidente della Repubblica, prima che Salvini e Di Maio si incaricassero baldanzosamente da soli di risolvere la crisi.

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